(Adnkronos) – Il mobbing indica comportamenti ostili e ripetuti che mirano a isolare o danneggiare psicologicamente il lavoratore ed è tornato proprio recentemente al centro del dibattito pubblico. Ne parla Luca Furfaro, consulente esperto nelle politiche del lavoro e del welfare, che indica cinque segnali per riconoscerlo e sottolinea come la giurisprudenza riconosca il mobbing come una forma di persecuzione psicologica, nonostante manchi ancora una legge dedicata. 1) L’esclusione da riunioni, chat di gruppo o dalle interazioni sociali: quando una persona viene sistematicamente esclusa dagli incontri di lavoro o dalle comunicazioni informali come chat o momenti di socialità, si crea un isolamento che impedisce di partecipare pienamente al proprio ruolo. Questa esclusione non è casuale, ma spesso una strategia per marginalizzare e indebolire il lavoratore. 2) Campagne diffamatorie o gossip che minacciano la credibilità o la professionalità dell’individuo: diffondere voci false o deformate sul conto di qualcuno, ridicolizzarne le competenze o mettere in dubbio la sua serietà professionale è un modo subdolo di attaccare la sua reputazione. Questo tipo di comportamento può danneggiare profondamente la fiducia in sé stessi e la percezione che gli altri hanno di quel lavoratore. 3) Critiche eccessive o micromanagement senza basi chiare o fondate: una costante e sproporzionata attenzione ai dettagli, con continui rimproveri che non si basano su motivazioni oggettive, può diventare un modo per far sentire inadeguata una persona e minare la sua autonomia. Questo tipo di controllo esasperato tende a creare disagio e insicurezza, andando oltre una semplice valutazione della performance. 4) Informazioni nascoste o sabotaggio: non comunicare dati, scadenze o novità importanti, oppure ostacolare intenzionalmente il lavoro di qualcuno, sono pratiche che rallentano o compromettono inevitabilmente i risultati. Questi atteggiamenti non solo impediscono alla persona di lavorare efficacemente, ma la mettono anche in una posizione svantaggiata rispetto agli altri colleghi. 5) Freddezza o trattamento del silenzio: ignorare deliberatamente una persona, non risponderle o rivolgerle la parola solo quando strettamente necessario produce una sensazione di isolamento emotivo e professionale. Questo tipo di comportamento crea un ambiente gelido, carico di tensione, che può indurre ansia, stress e senso di abbandono. Per affrontare efficacemente il mobbing, è fondamentale che tanto i lavoratori quanto le aziende adottino un ruolo attivo e responsabile. I lavoratori devono innanzitutto riconoscere i segnali di disagio e non sottovalutare comportamenti che minano il proprio benessere, cercando supporto interno o, se necessario, rivolgendosi a esperti esterni o sindacati. Dall’altro lato, le aziende hanno il dovere di creare ambienti di lavoro trasparenti e inclusivi, promuovendo una cultura di rispetto e ascolto, e mettendo in atto procedure chiare per la gestione e la prevenzione di comportamenti vessatori. Solo con un impegno condiviso si può intervenire tempestivamente, evitando che situazioni di disagio si cronicizzino e compromettano la salute psicofisica dei lavoratori. E' necessario sottolineare che il mobbing non deve essere per forza perpetrato dal datore di lavoro o da un manager: talvolta sono gli stessi colleghi che mettono in pratica azioni vessatorie nei confronti di uno dei propri pari a livello professionale. In questo caso si parla di mobbing orizzontale e la responsabilità del collega è configurabile solo a titolo extracontrattuale, ma permane quella del datore di lavoro di non aver impedito tali condotte. Infatti, in caso di mobbing, il datore di lavoro viola l’obbligo di garantire un ambiente sicuro e risponde contrattualmente dei danni. Chi denuncia il fenomeno deve provare il rapporto di lavoro, le condotte vessatorie, il danno subito, il nesso causale e anche l’intento persecutorio che lega tra loro gli atti. Se questo intento non emerge, il giudice deve comunque valutare se ci sia una responsabilità datoriale per aver tollerato un ambiente stressante o dannoso (straining o responsabilità per ambiente di lavoro stressogeno), situazione che richiede solo la prova del danno e del suo collegamento con il contesto lavorativo. Per Furfaro "è quindi illegittimo che il datore di lavoro, anche solo per colpa, consenta il mantenersi di un ambiente che provochi un danno alla salute del lavoratore. Questa modalità si differenzia dal mobbing perché non richiede necessariamente la prova di un intento persecutorio unificante, ma si fonda sulla violazione colposa dell'obbligo di sicurezza. In questo scenario, il lavoratore deve provare il danno e il nesso con l'ambiente di lavoro, mentre il datore deve dimostrare di aver agito diligentemente per prevenire il medesimo danno". "Oggi – commenta – in un mercato del lavoro sempre più veloce e competitivo, prendersi cura del clima in azienda influisce davvero sul lavoro di tutti. Per i datori di lavoro, saper riconoscere segnali di disagio, evitare situazioni stressanti e favorire rapporti rispettosi tra colleghi e superiori è fondamentale per il buon funzionamento di un’organizzazione".
—economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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