Emergenze sanitarie ed equilibrio faunistico, allarme  per il proliferare della fauna selvatica

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L’evidente aumento delle emergenze sanitarie veterinarie in Italia, come la Peste Suina Africana (PSA), la Blue Tongue, la Malattia Emorragica Epizootica (EHD), la Dermatite Nodulare Contagiosa (LSD) e il rischio riemergente della rabbia silvestre, impongono una profonda riflessione sul ruolo della sanità pubblica veterinaria. In un contesto in cui la fauna selvatica, in particolare gli ungulati selvatici e i carnivori come lupi e volpi, costituisce un serbatoio epidemiologico sempre più importante.
Il tema è posto in evidenza dal veterinario bergamasco Gian Carlo Bosio sul sito tutelarurale.org, che pubblica una dettagliata relazione che pubblichiamo di seguito.

“La gestione passiva della fauna da parte delle istituzioni competenti – si legge – si rivela non solo inefficace, ma potenzialmente disastrosa. L’Italia si presenta oggi come un vero e proprio “allevamento a cielo aperto” di cinghiali, caprioli e altre specie, con densità inaccettabili e fuori controllo. In questo scenario, il disinteresse della sanità pubblica veterinaria nei confronti della gestione faunistica rappresenta una grave lacuna istituzionale”.

1. Introduzione
Negli ultimi anni, l’Italia ha affrontato una serie di emergenze sanitarie di origine animale che hanno messo sotto pressione il sistema veterinario pubblico. Se da un lato è cresciuta l’attenzione per le zoonosi e per le malattie emergenti trasmissibili tra fauna selvatica, animali da allevamento e uomo, dall’altro è rimasta fortemente carente una visione sistemica e preventiva del problema, specialmente per quanto riguarda il controllo delle popolazioni selvatiche.

2. La fauna selvatica come serbatoio epidemiologico
Cinghiali, cervidi e carnivori selvatici (lupo, volpe) rappresentano oggi un serbatoio costante di patogeni pericolosi per l’allevamento e, in alcuni casi, per la salute umana. L’esempio più eclatante è rappresentato dalla Peste Suina Africana, introdotta e diffusa in Italia proprio attraverso la popolazione di cinghiali. La presenza incontrollata di questi animali nei territori rurali e periurbani ha compromesso ogni possibilità di contenimento rapido della malattia, con danni ingenti al comparto suinicolo nazionale.
Le stesse dinamiche si ripropongono con altre patologie trasmesse da vettori (Blue Tongue, EHD) o a trasmissione diretta (LSD), dove la fauna selvatica agisce da amplificatore silenzioso. In questo contesto, parlare di “emergenza sanitaria” senza affrontare il tema della fauna selvatica è una negazione della realtà epidemiologica.

3. Il fallimento dell’approccio attuale: l’assenza della sanità pubblica nella gestione faunistica
Nonostante le implicazioni sanitarie evidenti, la sanità pubblica veterinaria italiana si è fino ad oggi disinteressata – se non formalmente, nei fatti – della gestione attiva della fauna selvatica. Le competenze in materia sono state delegate quasi esclusivamente a enti ambientali o faunistici, come l’ISPRA, che si sono rivelati inadeguati nel rispondere alle esigenze sanitarie del territorio.
Le indicazioni fornite da ISPRA nel corso della gestione della PSA, ad esempio, si sono rivelate deboli, forvianti e talvolta addirittura ostacolanti rispetto alla necessaria riduzione delle densità faunistiche. Il mancato abbattimento preventivo e il ritardo nell’adozione di misure efficaci hanno facilitato l’espansione del virus in nuove aree, rendendo la situazione ingestibile.

4. Un Paese trasformato in un allevamento di ungulati selvatici
Con densità di cinghiali stimate in oltre 2 milioni di capi e una popolazione di lupi che supera i 5.000 esemplari, l’Italia si configura oggi come un gigantesco allevamento faunistico non gestito. Le implicazioni di questo squilibrio non sono solo sanitarie, ma anche ecologiche, economiche e sociali.
In questo scenario, ogni approccio sanitario che prescinda da un’azione incisiva sulla fauna selvatica è destinato al fallimento. Non è possibile pensare di tutelare la salute pubblica e degli animali da reddito senza controllare attivamente i serbatoi selvatici di infezione.

5. La minaccia della rabbia silvestre
Il ritorno della rabbia silvestre in Europa orientale e centrale rappresenta una minaccia concreta per l’Italia, anche in virtù della crescente presenza incontrollata di volpi, lupi e canidi selvatici. La carenza di controllo territoriale e l’assenza di un piano nazionale per la gestione di queste specie rendono il Paese vulnerabile a un ritorno della malattia, con conseguenze sanitarie e sociali drammatiche.

6. Verso un nuovo paradigma:“sanità pubblica e gestione faunistica devono integrarsi”
È tempo che la sanità pubblica veterinaria esca dalla propria autoreferenzialità e riconosca che il governo delle malattie animali, comprese le zoonosi, passa anche attraverso una gestione attiva e scientifica della fauna selvatica. Questo richiede:
Una revisione normativa che assegni alla sanità pubblica un ruolo primario nella pianificazione e nel controllo delle popolazioni selvatiche;
Un approccio integrato One Health che includa fauna, animali domestici e salute umana in un unico sistema di sorveglianza e intervento;
La definizione di obiettivi di densità faunistica sostenibili, con abbattimenti selettivi e gestione del territorio;
Un superamento del ruolo esclusivo di ISPRA, coinvolgendo esperti veterinari e sanitari nelle decisioni gestionali.

7. Conclusioni
Le emergenze sanitarie veterinarie degli ultimi anni ci pongono di fronte a una realtà innegabile: senza una gestione attiva della fauna selvatica, ogni piano sanitario è destinato a fallire. L’Italia non può più permettersi di ignorare il legame tra squilibrio faunistico e crisi sanitarie. È giunto il momento che la sanità pubblica veterinaria si assuma le proprie responsabilità e torni a occuparsi anche – e soprattutto – della gestione sanitaria della fauna.

lupo
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