(Adnkronos) – Solo 2 donne su 5 di età media di 50 anni, nonostante le difficoltà a dormire 5 notti a settimana per oltre 6 anni, riconoscono di soffrire di insonnia cronica, con un impatto importante sulla qualità di vita. Nelle donne affette da patologie neurologiche, psichiatriche o reumatologiche, l'insonnia peggiora la sintomatologia e compromette la qualità di vita. E' quanto emerge da una ricerca Elma Research per Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna), condotta su 122 donne con diagnosi di malattie neurologiche, psichiatriche o reumatologiche, che delinea un quadro di grande vulnerabilità. La survey evidenzia che 3 donne su 4 non hanno mai ricevuto una diagnosi formale di insonnia cronica, anche se nel 57% dei casi il disturbo aggrava le preoccupazioni legate alla patologia principale e nel 52% peggiora i sintomi. Il 35% delle intervistate riferisce inoltre difficoltà di aderenza alle terapie, mentre in media trascorrono 2 anni prima che la paziente decida di parlarne con uno specialista. Una recente indagine condotta da Idorsia su un campione di 200 donne italiane tra i 40 e i 60 anni evidenzia quanto l'insonnia sia un fenomeno diffuso ma ancora poco riconosciuto. Le partecipanti riferiscono difficoltà di sonno in media per 5 notti a settimana, che si protraggono da oltre 6 anni: un pattern che, secondo i criteri del Dsm-V, rientra nel disturbo di insonnia cronica. Nonostante ciò, solo 2 donne su 5 sono consapevoli di soffrirne realmente, segno di una percezione ancora limitata del problema. L'impatto del disturbo è rilevante su molteplici aspetti della vita: il 72% riporta conseguenze sulla salute mentale e sull'umore, il 66% sulla capacità di concentrazione e di rendimento lavorativo, il 58% sul benessere fisico generale, e 1 donna su 3 (33%) segnala effetti negativi sulle relazioni familiari e sociali. "L'insonnia cronica è una condizione clinica vera e propria, non un disagio passeggero o un effetto collaterale dello stress – afferma Amedeo Soldi, direttore medico di Idorsia Italia – E' importante imparare a distinguere un disturbo temporaneo da una condizione cronica, perché solo attraverso una diagnosi corretta si può intervenire in modo efficace. Dobbiamo aiutare le donne a capire che convivere con la stanchezza non è normale, che è una patologia che impatta sulle 24 ore e, conseguentemente, su tutte le sfere della loro vita. Restituire dignità al sonno significa restituire salute e qualità della vita". L'insonnia cronica è dunque molto più di un disturbo passeggero. E' una patologia che altera i meccanismi regolatori del sonno, incide sull'equilibrio neurochimico e compromette il funzionamento cognitivo, emotivo e metabolico. La difficoltà maggiore è riconoscere quando l'insonnia, da condizione transitoria, diventa una malattia a sé stante. In questa transizione, spesso impercettibile, si nasconde la cronicità: il disturbo si stabilizza, resiste ai tentativi di compensazione e inizia a influenzare in modo profondo la vita quotidiana. "La diagnosi di insonnia cronica – spiega Matteo Balestrieri, professore di Psichiatria e co-presidente Sinpf, Società di neuropsicofarmacologia – richiede che le difficoltà di addormentamento, i risvegli notturni o il risveglio precoce si presentino per almeno 3 notti alla settimana e per più di 3 mesi consecutivi, con un impatto significativo sulla vita diurna. E' una condizione molto più comune di quanto si pensi: fino al 10% della popolazione adulta soddisfa i criteri diagnostici. L'insonnia cronica non va vista come un semplice sintomo, ma come una patologia autonoma, con implicazioni che si estendono alla sfera cardiaca, metabolica e mentale. Riconoscerla e trattarla precocemente è fondamentale per prevenire conseguenze più gravi". Nel percorso di riconoscimento e trattamento dell'insonnia, il medico di medicina generale ha un ruolo centrale. E' lui il primo punto di contatto con la paziente, la figura che può cogliere i segnali precoci e orientare verso un approccio terapeutico adeguato. "Il medico di medicina generale – evidenzia Claudio Mencacci, co-presidente Sinpf – è la sentinella più vicina al paziente. Spesso è il primo a cui le donne si rivolgono per sintomi vaghi come stanchezza, irritabilità o difficoltà di concentrazione, che in realtà possono nascondere un'insonnia cronica. E' fondamentale che il medico sappia riconoscere i segni del disturbo e distingua le forme transitorie da quelle croniche. Oggi abbiamo strumenti terapeutici efficaci e approcci integrati che consentono di agire in modo mirato, migliorando la qualità della vita delle pazienti. Ma serve anche una comunicazione chiara e continua: solo un dialogo aperto e costante tra medico e paziente permette di costruire fiducia e garantire una gestione efficace". Dietro la maggiore incidenza femminile si intrecciano fattori biologici, psicologici e sociali. Le oscillazioni ormonali nelle diverse fasi della vita – pubertà, gravidanza, post-partum e soprattutto menopausa – alterano i ritmi circadiani e modificano la struttura del sonno. Ma a questo si somma una pressione costante: le donne continuano a sostenere il peso di una duplice responsabilità, professionale e familiare, con una tendenza a mettere le esigenze degli altri prima delle proprie. "L'insonnia cronica è molto più diffusa tra le donne – osserva Emi Bondi, direttrice del Dipartimento di Salute mentale e Dipendenze di Bergamo – perché sia sul piano biologico che sul piano sociale presentano un maggior numero di fattori di rischio per sviluppare questa patologia. Sul piano biologico conosciamo l'importanza delle fluttuazioni degli ormoni femminili e la maggior incidenza di ansia e depressione, sul piano sociale lo stress legato all'ansia da prestazione, la gestione di ruoli multipli e la difficoltà a staccare la mente; tutti fattori che contribuiscono a creare uno stato di allerta costante. Nella menopausa, poi, la vulnerabilità aumenta, ma molte donne non riconoscono l'insonnia come un problema di salute: la vivono come un aspetto inevitabile della propria età, invece di parlarne con il proprio medico. E invece dormire bene è un bisogno fisiologico primario, tanto quanto mangiare o respirare: un sonno di qualità migliora la memoria, la concentrazione e la regolazione emotiva". "I risultati della nostra ricerca – commenta Sara Carloni per conto di Onda – mettono in luce come l'insonnia cronica rappresenti un peso aggiuntivo per chi vive già con una malattia cronica. Dormire male amplifica i sintomi, indebolisce le capacità di reazione e accentua il senso di isolamento. E' necessario riconoscere l'insonnia cronica come patologia indipendente, con la sua diagnosi e la sua terapia, perché solo così si può migliorare la gestione complessiva delle altre malattie e restituire alle donne una qualità di vita accettabile". A complicare ulteriormente la situazione, c'è un pregiudizio radicato che porta spesso a considerare l'insonnia cronica come un effetto collaterale secondario di altri disturbi, piuttosto che come un problema autonomo. Ma questa visione riduttiva rischia di alimentare una spirale di sofferenza sommersa e di sottovalutazione clinica. "Spesso – rimarca Guido Di Sciascio, direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Bari – l'insonnia viene considerata solo un sintomo collaterale di altre patologie, ma in realtà è una condizione autonoma e complessa, che può peggiorare il quadro generale della persona. Quando il sonno manca o è frammentato, tutto l'organismo ne risente: aumenta il rischio di depressione, ansia, deficit di attenzione e irritabilità, ma anche di peggioramento dei sintomi nelle malattie croniche, come quelle neurologiche, psichiatriche e reumatologiche. Nei disturbi dell'umore, per esempio, il sonno diventa un indicatore precoce di ricaduta: riconoscerlo e intervenire tempestivamente può cambiare il decorso clinico. L'insonnia cronica, inoltre, genera un impatto sociale enorme: riduce la produttività, altera le relazioni e logora la qualità della vita. Per questo è essenziale trattarla in modo indipendente, con un approccio integrato che unisca terapia farmacologica e supporto psicologico. Dormire bene non è un lusso, ma la base su cui poggia la salute mentale. Curare il sonno significa curare la persona nella sua interezza". Un altro dato emerso dalla ricerca Idorsia riguarda la gestione terapeutica: il 37% delle donne in menopausa assume sedativi o psicofarmaci per oltre 50 mesi, a testimonianza di quanto la cronicità del disturbo venga spesso affrontata con strategie non risolutive. Ma oggi, l'arrivo di nuove terapie rappresenta un passo avanti importante. "Oggi l'approccio al trattamento dell'insonnia cronica si fonda su una combinazione di strategie comportamentali e farmacologiche – illustra Balestrieri – Le linee guida internazionali raccomandano la terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia (Cbt-I) come prima scelta: un intervento strutturato che aiuta a modificare abitudini scorrette e convinzioni disfunzionali legate al sonno. Tuttavia, quando questo non è sufficiente o non è accessibile, la farmacologia offre oggi soluzioni di nuova generazione, più rispettose dei meccanismi fisiologici del sonno, che agiscono regolando i neuropeptidi della veglia invece di 'forzare' il sonno attraverso la sedazione. In questo modo il riposo recupera la sua architettura naturale e la persona ritrova un equilibrio più stabile anche nelle ore diurne. Questi farmaci, insieme a un percorso di consapevolezza e di igiene del sonno, permettono un trattamento efficace e sostenibile nel lungo periodo. L'obiettivo – conclude lo specialista – non è solo far dormire, ma restituire un sonno fisiologico, rigenerante, che migliori la qualità della veglia, l'energia, la lucidità e la capacità di affrontare la giornata. Curare l'insonnia cronica significa, in definitiva, restituire alle persone una parte essenziale della loro salute mentale e fisica".
—cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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