Russia, le parole di Putin e la recessione: come sta veramente l’economia?

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(Adnkronos) – Dall'inizio della guerra in Ucraina, l'economia della Russia è stata un fattore chiave. La coalizione occidentale ha puntato da subito sulle sanzioni come strumento principale per fare leva sul progressivo impoverimento, finanziario e produttivo, di Mosca. In più di tre anni, l'obiettivo principale, costringere Vladimir Putin a fermarsi per non portare il suo Paese al fallimento, non è stato raggiunto. Ma le conseguenze dell'isolamento internazionale, e la progressiva conversione industriale a fini bellici, a fatto di quella russa un'economia esclusivamente di guerra.  Oggi, lo spettro della recessione e le stesse parole di Putin dal Forum economico internazionale di San Pietroburgo dimostrano che le difficoltà ci sono e che l'economia è diventato realmente un fattore chiave della partita complessiva che il Cremlino sta giocando.  La domanda che ricorre, come sta veramente l'economia russa?, è ispirata anche dall'incertezza legata ai dati e alla propaganda che li ha sempre corretti, annacquati, mistificati, secondo le esigenze. Il fatto che oggi sia Putin, "Il rischio di stagnazione o addirittura di recessione nell'economia russa non è consentito in nessuna circostanza", sia i suoi ministri parlino apertamente di uno scenario da evitare a ogni costo è un segnale significativo, che si lega ai fatti delle ultime settimane: Maxim Reshetnikov, il ministro dell'economia, ha avvertito del rischio in corso, l'inflazione è ancora sopra il 9% e i tassi di interesse restano tra i più alti al mondo, nonostante il primo taglio operato a giugno, dal 21 al 20%, dopo una serie di rialzi consecutivi iniziati a metà 2023.  Come si arriva a oggi? Da dove arriva la recessione? Pesano diversi fattori. La fiducia degli investitori è stata quasi interamente compromessa dalla guerra in Ucraina, le esportazioni sono state falcidiate dalle sanzioni e dalla riduzione drastica dei canali a disposizione, la spesa pubblica è salita su livelli record ma solo per finanziare la produzione bellica. I russi stanno sicuramente peggio di tre anni fa, e una parte della popolazione partiva già da condizioni complicate.  Oggi, sostanzialmente, non c'è alcuna differenza tra l'economia per la guerra e l'economia civile. Una condizione che lo stesso Putin ammette e che estende, con una curiosa identificazione del modello russo con presunta tendenza globalmente condivisa: "Nel mondo moderno, la separazione tra il complesso militare-industriale e il settore civile dell'economia è sempre più sottile. In alcuni Paesi, non c'è alcuna differenza". Sicuramente, non c'è alcuna differenza in Russia. Le conseguenze di questa mancata separazione tra industria militare e il resto del tessuto produttivo porta con sé delle conseguenze che non fanno ben sperare. Il rischio, orami conclamato, è che l'economia russa, e quindi Putin, abbiano bisogno della guerra non solo per non cadere in recessione ma anche per sopravvivere e non avvitarsi in una spirale che porterebbe a un rapido e ineluttabile impoverimento. E' quello che già sta avvenendo per ampie fasce della popolazione, che vedono il potere d'acquisto ridotto ai minimi termini per l’aumento dei costi per beni essenziali, trasporti e servizi importati. (Di Fabio Insenga) —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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